In memoria di Lillo Nicolò

lillo nicoloE’ scomparso Lillo Nicolo’, storico Direttore di Gara del Supermarecross e delegato  FMI  per la provincia di Reggio Calabria

La notizia  della morte di  Lillo Nicolo’, una delle figure carismatiche  del motociclismo calabrese,  uno degli uomini che insieme a Gaetano di Stefano  vissero  l’esaltante  stagione del Supermarecross , l’uomo con il quale   fino a due anni fa  molti di noi  – per anni , hanno trascorso le domeniche sui campi di gara,   ha lasciato tutti addolorati e sgomenti.

Scompare un figura amica, scompare  con lui, un pezzo delle nostra vita recente. Ci sentiamo  tutti un po’ più vecchi, un po’ più stanchi. Un po’ più soli dentro un mondo – che anche nello sport – fra informatizzazione  e burocraticismi  ha perso molto di quell’entusiasmo giovanile che lo ha animato per decenni.

Grazie , Lillo,  per quanto ci hai dato. Grazie  per esserci stato vicino nel nostro periglioso  viaggio  alla guida  regionale di una Federazione cresciuta anno dopo anno   anche  con il tuo contributo, con il sacrificio  di giornate spese  sotto il sole  sulla riva del mare a prendere giri insieme a Michele Fascì e a sventolare bandiere a scacchi sull’effimero trionfo di chi  vince la gara o sotto la pioggia di piste da cross perse  fra campi riarsi  d’estate e fangosi d’inverno. Sempre impeccabile,  autorevole, più che autoritario a maggior gloria di uno sport duro , per uomini duri e talvolta egocentrici  come solo i piloti di motociclette sanno essere.

Grazie per quanto ci hai dato. Grazie  per aver accettato,  neanche un mese fa il nostro invito venendo fino a Catanzaro alla premiazione regionale: Un  viaggio pesante per un uomo provato dalla malattia. Ma ciononostante avevi voluto esserci: ancora una volta insieme a noi. Ancora una volta  tutti insieme: come sui campi di gara. Ancora una volta….l ’ultima volta ancora insieme col Co.Re.  Calabria e soprattutto, insieme , ai piloti . Ci hai salutato commosso alla fine.  Forse lo sapevi, forse lo sentivi che  quel salutarci sarebbe stato un Addio.

Anche per questo grazie , Lillo .

Non ti dimenticheremo .

Luigi Mamone

Raul Scornaienghi

Peppino Mancuso

 

“ La morte non è niente,  sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami!”

Questo è il messaggio che ho ricevuto dagli amici di mio papà quando, nel lontano 1996, questi passò a miglior vita; quella notte prima del funerale lo vegliai con loro, i compagni mattacchioni di una splendida ed indimenticabile avventura che fu ripercorsa tutta la notte come la pellicola di un interminabile film, ridendo e scherzando ad ogni singolo fotogramma.

La storia era nata intorno alla fine degli anni ‘70, quando un ferroviere di mezza età era stato invogliato da un gruppo di giovani motociclisti, il compianto Salvo Sgroi e l’amico Peppe Naim, a trainare il carosello del motociclismo, all’epoca illustre sconosciuto a Reggio.

Parlo di quando la divisa del crossista era fatta da un paio di stivali dell’esercito, i jeans con le toppe rammendati dalla nonna, un k-way ed un casco  in prestito quando era il tuo turno: di quando moto elaborata significava marmitta diretta e carburatore da 22.

Parlo di un mondo indescrivibile per chi non lo abbia vissuto, ed a cui quel ferroviere intendeva riavvicinarsi dopo averlo respirato negli anni ‘50 da vespista di gimkane, un universo che aveva conosciuto in modo elementare, acqua e sapone, disadorno di blasoni ed etichette,  fatto solo di spirito di collaborazione,  di sacrificio e di passione per le due ruote.

Da qui la scelta di individuare uno stuolo  di collaboratori ad hoc per trainare il carro: un maresciallo in pensione dell’aeronautica appassionato di moto d’epoca, Nino Geraci,  un meccanico di moto api pronto ad abbassare la serranda e scappare in pista, Michele Fascì, un operaio delle ferrovie claudicante, Nino Romanò,  un vigile urbano amante della Santo Stefano-Gambarie, Bruno Smeriglio,  ed il dirimpettaio di questi, un centralinista dell’ospedale che nulla aveva a che vedere con le moto,  ma che a dire dell’amico vigile sarebbe stata la persona più adatta a fare da segretario alla  combriccola, sempre pronto con il suo lapis a prendere appunti.

Vi era, ancora, un reduce delle corse motociclistiche degli anni ’50, il povero Walter Zappia, alcuni concessionari di moto più appassionati a guardarle che a venderle, ed un senatore della Repubblica geloso del proprio  Morini  3 e mezzo.

Alla cordata si sarebbero aggiunti di lì a poco due simpaticissimi fratelli, Carmelo e Gregorio Piazza, trovatisi una bella mattina da titolari di una tipografia a gestori di una trattoria ove il gruppo aveva fissato stabile dimora, a suon di soffritto e buon vino.

Così nasce l’avventura di Lillo, da noi chiamato affettuosamente “punte e tacchi” o “ il sindaco”, una persona semplice e cordiale che sarebbe riuscita con la sua spontaneità ed il suo garbo a farsi apprezzare e ricordare nel campi di gara di mezza Italia.

La storia sarebbe proseguita con traguardi inimmaginabili: dal circuito Fata Morgana di velocità, alle tante corse di regolarità sull’Aspromonte, all’indimenticabile Giro dei Tre Mari, all’Euro Vespa, al trofeo Giovani Moto Esercito, al Trofeo del Meridione, al campionato internazionale di SuperMareCross e, dulcis in fundo, fino alla mitica trasferta diLa Marsa, in Tunisia.

Da semplice amanuense la carriera di Lillo divenne sempre più impegnativa, prima segretario di gara, poi direttore nelle competizioni turistiche, fino al suo sogno, quello di dirigere una gara di motocross e di presiedere il comitato provinciale della sua città.

Ormai quello sport era dentro di lui: ma non erano le moto, le trasferte o la spilletta dell’FMI che portava all’occhiello, a dargli quella carica di adrenalina ad ogni appuntamento, quanto la sua voglia di stare in mezzo ai piloti, tra i suoi ragazzi del circus.

Il suo desiderio era quello di poter svolgere un ruolo al servizio degli altri ed al tempo stesso di nutrirsi di quella linfa, fatta di intere famiglie al seguito della carovana, di centinaia di ragazzi dall’estrazione sociale variegata, presenti sui campi di gara con le loro Ferrari fiammanti ed i motor home  o con sconquassate vecchie  Simca ed una tenda canadese;  alle volte di giovani disadattati, che provenivano da situazioni difficili, da contesti sociali degradati, ai quali mai sarebbe mancato un segno di solidarietà e di affetto di Lillo, sempre pronto a trovare una pezza a tutto:Gaetanu avimu a chiudiri n’occhiu, era sempre pronto a dire all’amico cavaliere.

Quante volte con mio padre si erano scambiati i ruoli del “buono e del cattivo” cercando di tenere a freno i loro centauri, ammonendoli con imbarazzanti ramanzine sempre seguite con una schiacciatina d’occhio, da una pacca sulle spalle: va bonu non succiriu nenti!,  era divenuta la frase fatta.

Quante volte avevano anteposto, alle regole federali, quelle del buon senso, dell’educazione, del rispetto, della leale competizione, del fare “u sceccu ‘nto linzolu” se il fine ultimo fosse stato quello di far divertire i ragazzi, di proteggerli, di poter condividere con loro quei momenti splendidi ed indimenticabili.

Complice di una semplicità e di una disinvoltura disarmante, il gruppo di vulcanici appassionati, con in testa il cavaliere, il maresciallo,  punta e tacchi,  Michele e Romanò,  era riuscito ad edificare una comunità che avrebbe vissuto un periodo di intensità unica ed indescrivibile.

Con una umiltà ed una faciloneria alle volte dai contorni provinciali, con un linguaggio tanto semplice quanto chiaro ed espressivo, con iniziative alle volte imbarazzanti quanto determinate e risolutive, con una passione incontenibile che lasciava a bocca aperta i loro stessi cari,  la combriccola sarebbe  riuscita ad instaurare un rapporto di empatia irrefrenabile: con i ragazzi, con le famiglie dei piloti, con i meccanici, con le strutture ricettive, con le forze dell’ordine, con i giornalisti, con gli sponsor, con la federazione, con le autorità.

Un effetto dirompente e piacevolmente ridondante, che aveva raggiunto un’onda di consensi e di affetto che da sola ripagava i loro sacrifici, le loro levatacce, le giornate sotto il sole e sotto la grandine.

Come potrei dimenticare le telefonate di mio papà, sempre più acciaccato, che alle sette di mattina esordiva: “signora state dormendo, per favore passatemi a Lillo”; e poi,  “ti raccumandu a fettuccia, i paletti, controlla u cancellettu e statti cu u ruspista, dassa futtiri i sati basta non mi si cciuncunu i figghioli”.

Il momento più brutto per Lillo, dopo la morte del socio cavaliere,  immagino che sia stato quello di  dover rinunciare al patentino di direttore di gara per sopraggiunti limiti d’età: un pillola difficile da mandare giù.

Uno dei momenti più belli? Non ho dubbi, sarà stato sicuramente quello di trovarsi fino a due settimane fa attorniato dai suoi ragazzi, i suoi piloti, di poter rivivere quei momenti festosi delle premiazioni, quell’odore acre di polvere e di ricino, quell’ assordante silenzio della corsa dove tutto spariva e l’occhio di Lillo andava attento verso quel fazzoletto di pista, il contagiri, le bandiere di segnalazione, l’ambulanza.

Quella breve, interminabile, ultima corsa che ha saputo lasciare dietro tutti i problemi di un amico, di un marito, di un padre,  di un nonno, lo ha fatto  rigenerare dandogli il vigore di duellare fianco a fianco contro  quel male inesorabile che lo stava divorando,  e che con lucida consapevolezza Lillo ha  affrontato con il sorriso sulle labbra.

Quando ho chiamato gli amici per dire che ci ha lasciati, qualcuno mi ha risposto: è andato via un pezzo di storia; è proprio così.

Non sono mai riuscito a darti del Tu, caro Lillo, nonostante i tuoi continui rimproveri e spesso sorrido al pensiero di tutte quelle volte che,  incrociandoti per strada, piuttosto che dirti buon giorno esordivo con quello storpiato accento bolognese “era bello?”, ricordandoti con una simpatica allusione i bei momenti passati.

E’ stato un piacere conoscerti, giocare con te a poker ogni natale, gustare l’affetto che hai dimostrato a me ed ai miei cari quando ne abbiamo avuto bisogno, proteggere ed ossequiare mio padre quando, prima di te, la morte aveva bussato alla sua porta.

So che già oggi, quando avrai rivisto Tanino, il vostro pensiero protettivo sarà rivolto a quei ragazzi che tanto avete amato e che non sapranno mai dimenticarvi; una sola cortesia personale ti chiedo nel salutarti: trova il tempo di dire a mio papà che è dentro di me.

Arrivederci Lillo, la morte è solo la fine del primo atto, e tu di strada ne farai ancora tanta.

Michele DI STEFANO